Uno dei parametri con cui valutare la scelta del cibo è rappresentato sicuramente dall’indice glicemico, ovvero, quel valore che misura la velocità con cui i vari alimenti fanno aumentare il livello di glucosio nel sangue (glicemia).
Intervista di Misura al Dott. Andrea Del Seppia
Approfondiamo l’argomento con il nostro nutrizionista, Dott. Andrea Del Seppia.
Dott. Del Seppia, può spiegarci che cos’è l’indice glicemico e perché è così importante?
Innanzitutto, l’indice glicemico (IG) ci consente di classificare un alimento in base alla sua velocità di conversione in glucosio e quindi in energia. A seconda della velocità con cui fanno innalzare la glicemia, i vari cibi vengono infatti definiti “a basso, medio o alto indice glicemico”. Ad esempio, i cereali integrali e i legumi hanno un IG basso e sono convertiti lentamente in glucosio circolante. La glicemia, in questo caso, cresce in maniera graduale e, in modo altrettanto graduale, viene rilasciata una quantità di insulina, l’ormone adibito alla riduzione dei livelli di glicemia in eccesso, che farà utilizzare gli zuccheri disponibili alle cellule: tali alimenti forniscono energia a lento rilascio e a lungo termine.
Al contrario, sostanze ad alto IG come le patate, le confetture o la frutta molto zuccherina entrano in maniera repentina nel sangue e forniscono energia immediata a breve termine poiché altrettanto velocemente l’ormone insulina ridurrà i valori glicemici.
Quali sono i fattori che influenzano l’indice glicemico?
I principali fattori che contribuiscono a ridurre l’IG di un alimento sono la compresenza di fibra, di proteine e/o di grassi all’interno del pasto o dell’alimento stesso. I cereali integrali come avena o farro, ricchi di fibre alimentari, hanno un IG inferiore rispetto al riso brillato; la pasta integrale, rispetto alla comune pasta di semola, ha un IG più basso grazie al maggiore contenuto di fibre e proteine.
Nella composizione degli amidi, che sono una tipologia di carboidrati complessi, la presenza preponderante dell’amilosio (una lunga struttura lineare) rispetto all’amilopectina (una struttura ramificata) abbassa l’IG: ad esempio, mais e patate hanno poco amilosio e quindi un IG elevato; le lenticchie, invece, hanno molto amilosio e un IG basso. Nel caso della frutta, il grado di maturazione influisce sull’IG: di norma quella acerba ha valori più bassi rispetto a quella molto matura (più dolciastra).
Anche le tecniche di cottura incidono: una bollitura prolungata degli alimenti amidacei determina un aumento dell’IG. Infatti, la pasta cotta per lungo tempo (e quindi più idratata) darà una risposta glicemica più rapida rispetto a quella data dalla pasta lasciata “al dente”; quest’ultima ha anche il vantaggio che, essendo più dura, induce a una masticazione più lenta, favorendo il senso di sazietà.
Viceversa, l’IG si riduce con la tostatura del pane e con il raffreddamento dei carboidrati: ad esempio, la pasta fredda, le insalate di riso e cereali o le patate bollite, se poi lasciate raffreddare, hanno un IG più basso rispetto a quando gli stessi alimenti vengono consumati appena cotti.
L’indice glicemico ci può permettere di dividere gli alimenti in “buoni” e “cattivi”?
Non si tratta di un parametro sufficiente poiché indica solo quanto velocemente si alza la glicemia e non fornisce alcuna informazione in merito alla quantità di glucidi. Questo valore da solo non descrive quanto è alto il picco di glucosio nel sangue, solamente quanto in fretta lo si raggiunge. Per una valutazione più completa è stato introdotto il concetto di carico glicemico (CG), che tiene conto sia della qualità che della quantità dei glucidi ingeriti. Il CG dipende dalla porzione, mentre l’IG è fisso.
Ad esempio, una pizza margherita con impasto integrale non ha un IG particolarmente elevato, tuttavia contiene una porzione abbondante di glucidi, quindi il suo CG è alto. Viceversa, i carboidrati contenuti nelle carote cotte fanno alzare la concentrazione di glucosio nel sangue piuttosto velocemente, ma una carota contiene pochi carboidrati quindi, nel complesso, ha un basso CG.
Il concetto di CG riflette l’importanza di non perdere di vista le dimensioni delle porzioni e di considerare anche l’apporto calorico totale: semplificando, se vi è un eccesso di calorie rispetto al fabbisogno, il glucosio in eccesso verrà convertito in tessuto adiposo (grasso di deposito).
Come incide l’indice glicemico degli alimenti sul nostro organismo?
Abbiamo visto che per rallentare l’assorbimento dei carboidrati contenuti in un pasto si possono aggiungere sostanze come fibra, proteine o grassi. Nella pratica, occorre farsi guidare dal buonsenso e dalle linee guida: non è sensato aggiungere grassi in maniera smodata o incrementare eccessivamente la porzione proteica con la finalità di ridurre l’indice glicemico.
È invece raccomandabile aggiungere ad ogni pasto una buona fonte di fibra: ad esempio, scegliendo una pasta integrale cotta al dente a cui si aggiungono delle zucchine, una porzione adeguata di salmone ed un cucchiaio d’olio extravergine d’oliva; otterremo un pasto a basso indice glicemico, con un rilascio graduale di energia che ci fornirà un senso di sazietà prolungato.
Un altro accorgimento per abbassare l’IG e per aumentare il senso di sazietà è quello di iniziare il pasto con una buona porzione di verdura di stagione, cotta o cruda.
Per quanto riguarda gli spuntini, si può abbinare la frutta fresca mangiata con la buccia – che è spesso edibile e ricca di fibra, purché non sia trattata con prodotti nocivi – con una piccola porzione di frutta secca che ne rallenta l’assorbimento, oppure accompagnare un estratto o centrifugato di verdura e frutta con un paio di cracker integrali.
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